Parla Dario Digeronimo, consulente del sindaco: «Rifondare il concetto stesso di bellezza e offrirla o meglio venderla per creare sviluppo economico.»

Abbiamo intervistato Dario Digeronimo, consulente per le strategie di marketing territoriale promosse dall’Amministrazione Comunale per favorire lo sviluppo economico e per la promozione turistica nonché per le azioni di sostegno alle politiche giovanili e alla promozione della cultura in ambito locale. Una lunga intervista, che tocca tanti aspetti e temi, che riguardano non solo Grammichele, ma anche la nostra isola, in generale.

Prima di tutto, qual è il tuo ruolo all’interno dell’amministrazione? Ti vediamo partecipe nelle iniziative che coinvolgono cultura e spettacolo, ma in cosa consiste di preciso la tua consulenza per il Sindaco, e di conseguenza la città di Grammichele?

dario digeronimo purpora grammichele

Il mio ruolo è dare una consulenza su cultura e turismo. Ovviamente ho un mio progetto, una mia idea di cosa si possa e si debba fare in un paese come Grammichele. Ma è molto difficile. Non tanto perché manchino i soldi e neanche perché manchino le ‘materie prime’ culturali. Ma perché manca la mentalità dei cittadini. I grammichelesi, come tutti i siciliani, sono seduti su una miniera d’oro ma preferiscono piangere, lamentarsi, chiudersi nel loro guscio, non condividere niente da un punto di vista culturale, non pensare al futuro dei propri figli, non mettersi in gioco e soprattutto amano deliziosamente demandare agli altri: la forma più bruta di incoscienza umana: perché chi demanda semplicemente cessa di esistere: certo può parlare, può votare, può urlare, può strepitare, può scrivere su Facebook, può persino protestare. Ma quando demandi, la verità è che nessuno si occupa più di te: è come se non esistessi. È un fenomeno naturale. A chi non partecipa e ha solo da urlare, l’Universo non concede molta considerazione. E poi c’è da dire che siamo entrati nel secolo della condivisione, ma non sembriamo essercene accorti. Ho iniziato in modo troppo brutale? Mi spiace.

In effetti sì, un po’ brutale… il tuo è uno sguardo al nostro paese, da Torino, ma anche da romano di nascita. Queste sono due città che fanno del turismo culturale delle fonti di incredibile importanza per sopravvivere in tempi di crisi. Sembra paradossale, ma Grammichele non sarebbe da meno, ma in pratica questo è inesistente. Che idee avete per rilanciarlo?

Io non sono affatto romano di nascita. Sono grammichelese al 100%.
Sono nato a Grammichele, sono figlio di grammichelesi e nipote di grammichelesi fin dai tempi di Occhiolà. . La mia tesi di laurea è stata  sull’intervento spagnolo in Val di Noto dopo il terremoto, in particolare a Occhiolà. Sono assolutamente radicato, almeno da un punto di vista culturale, alla mia città: Grammichele.
Ne condivido le sorti. Quando maledico i grammichelesi, maledico me stesso. Quando sono lontano, penso alle nostre colline e mi struggo di nostalgia. Grammichele è la mia indiscussa unica Patria, amata e maledetta.
Però ho vissuto quasi tutta la vita a Roma e ovviamente la conosco bene.
Prima di tutto ti voglio dire: vivere di cultura non è un diversivo per l’Italia: è un ritorno alla normalità dopo la devastante epoca industriale. Dunque io ci vedo solo opportunità: soprattutto economiche. E te lo dico da uomo di advertising, non di cultura. Io lavoro nel mondo delle aziende e del mercato, non della cultura.
Cosa c’è da copiare da Roma? Niente.
O meglio: da Roma si può imparare tutto ciò che deve essere evitato. A Roma c’è una tale concentrazione di bellezza, arte, cultura e offerta… eppure la città langue e produce cifre risibili nelle presenze e nei pernottamenti, almeno viste le sue possibilità. I turisti vengono e non tornano più.
Perché? Perché l’accoglienza è fraudolenta fin dall’arrivo in aeroporto: nessun aiuto per i turisti, treni lenti e costosissimi, dei tassisti non ne parliamo, poi le truffe, gli hotel spesso fatiscenti, i musei che hanno orari assurdi ed esposizioni vecchie e stantie, lo smog, il traffico, la sporcizia, gli ‘aooo‘ e ‘i mortaccitua‘: neanche attraversare una strada è una cosa facile per un turista. Sembrano fesserie. Ma il turista vuole vivere una vacanza serena, felice, vuole alzare la testa e guardare i palazzi, non evitare le auto. Non evitare sacchi di immondizia. Poi torna a casa e racconta: e il suo racconto costruisce o demolisce la tua reputazione. Puoi spendere una fortuna in advertising, ma basta una frase detta al pub che smonti la visione idilliaca di Roma e tutti i tuoi investimenti vanno a farsi benedire. Dunque a che serve la cultra? A rifondare il concetto stesso di bellezza prima di tutto nella Comunità e poi a offrirla o meglio venderla per creare sviluppo economico. Il processo è chiarissimo.  

Esattamente quello che fanno a Torino da quando la Fiat ha chiuso i battenti. Dieci anni fa era considerata una delle città più brutte d’Europa. Invece era solo sepolta dall’industria. Non si sono messi a piangere, ma hanno cambiato il modello economico della città. Hanno certamente molto meno da offrire rispetto a Roma, ma lo offrono meglio e soprattutto con più garbo. Cioé a dire professionalmente. E ne traggono vantaggio proprio i torinesi in primis, perché tutto il sistema, anche le aziende private non solo il pubblico, favorisce la produzione di cultura: danno soldi, spazi, competenze. La gente si unisce più volentieri, condivide, crea e produce. Chi lavora per il turista, lavora per se stesso. Di tutto ciò che facciamo per il turista – non so ad esempio tenere pulita una piazza – ne godiamo noi per primi. E il turista racconterà di quella piazza meravigliosa e ci regalerà pubblicità. A Torino è più facile organizzare una rappresentazione teatrale, un concerto, una personale. E tutto questo alimenta il nuovo mito per cui se vuoi conoscere la vera Capitale culturale d’Italia, allora devi venire a Torino. E la gente viene. Naturalmente oltre al fermento di popolo, ci sono anche le manifestazioni ufficiali: il Salone del Libro, rimesso in piedi 20 anni fa dall’amico Paolo Verri, oggi direttore di Matera 2019, fu un esempio virtuosissimo. Non era solo una fiera, era un evento culturale. Paolo Verri predica cultura e produce soldi da 20 anni. In due anni ha triplicato i turisti a Matera.Oppure Slow Food di Carlo Petrini. Ma quanto lavoro ha dato?
In Sicilia invece siamo come a Roma. Anzi peggio.
Perché almeno a Roma delle aree d’eccellenza esistono, penso ai Musei Vaticani. In Sicilia, se non fosse per qualche visionario che ha capito in quale direzione sta andando il mondo, siamo ancora alla mentalità degli anni settanta. A Grammichele invece di vedere ragazzi che fanno a gara a chi disegna meglio, sentiamo ancora gli stereo a tutto volume passare e ripassare e ripassare e ripassare nelle strade del centro. Cose che non si vedono più neanche in Africa equatoriale.
Quello che vorremmo fare a Grammichele è semplice: cambiare mentalità, produrre cultura, sviluppare turismo, creare un nuovo modello economico. E diventare tutti più garbati. Non siamo capaci? Allora evacuiamo il paese. Lasciamolo ai tedeschi, agli americani o ai migranti.
Comunque qui rilanciare il turismo non è difficile, è impossibile. Nel senso che turismo qua non ce n’è mai stato. E lo si vede sia dalle capacità d’accoglienza (fatte salve alcune rare eccezioni anche a Grammichele) sia dal fatto che davvero a nessuno importa.
Dunque dobbiamo lanciarlo, non rilanciarlo: per lanciarlo stiamo in primis cercando di mettere a posto quel che abbiamo: vorremmo ristrutturare il Palazzo Fragapane e trasferirvi il Museo: il Museo in due piani diversi è un’altra follia incomprensibile. Sistemare la struttura geodetica in Biblioteca. Ridare dignità all’Archivio Storico che è una miniera d’oro di opportunità.
Anzi a tal proposito con Dario Meli e le gentilissime signore dell’archivio stiamo organizzando una sorpresa per il 25 aprile.
Poi restituire un po’ di dignità al parco archeologico, perché che cos’è Occhiolà lontano da Grammichele e in quello stato? Il nulla. Il percorso deve iniziare a Occhiolà e deve finire a Grammichele, in piazza, alle Chiese e a San Rocco, sempre e necessariamente. E bisogna raccontarlo non solo con le guide, ma con una seria segnaletica. Non sottovalutate il potere della segnaletica. Voi non leggete la segnaletica nelle città che visitate? Non volete essere guidati nei percorsi?
Diversamente le pietre di Occhiolà non raccontano niente e oggi o racconti o sei fuori dallo sviluppo. Si chiama storytelling o più esattamente: “narrazione d’impresa“. Si fa anche con degli strumenti pratici che oggi, fatti salvi due spennacchiati cartelli, sono assenti.
Poi stiamo cercando sponde con altri eventi: stiamo chiudendo con “A Tutto Volume”, il festival dei libri ragusani arrivato ormai all’ottava edizione: lo stiamo portando anche a Grammichele.
Sempre con Dario Meli stiamo organizzando la Primavera di San Rocco, inoltre intendiamo festeggiare come si deve il sessantesimo della biblioteca e naturalmente vogliamo dare visibilità sempre maggiore alle feste della tradizione: i Santi Patroni, il Piano e i Morti.
Stiamo anche aprendo un canale privilegiato con i grammichelesi all’estero da molte generazioni. Si tratta di un progetto di residenza, ma è una cosa su cui preferisco parlare quando andrà tutto a posto. Lavoro ce n’è molto. Lavoratori meno. Chiacchieroni tanti. Al solito. Anzi vorrei ringraziare l’assessore Branciforte per la mole di lavoro a cui si sottopone.

Il marketing territoriale come può essere utilizzato al meglio non solo nella città esagonale, ma anche nella nostra Sicilia?

Abbiamo portato a Grammichele Riccardo Di Bella, ideatore e realizzatore del portale MoveinSicily, un portale che amplifica in tutta Italia la notorietà degli eventi turistici e culturali siciliani. Lo abbiamo messo a disposizioni delle associazioni. Non ne sono venute molte. Peggio per loro. Altre associazioni ne stanno approfittando. Questo è marketing territoriale oggi. Informare, condividere (il famoso sharing), partecipare alle iniziative degli altri e invitare alle proprie. Con creatività e competenza. Con la reale partecipazione a ciò che si sta muovendo in Sicilia, non con i finti progetti. I bei tempi in cui si aspettava la Regione Sicilia che ti obbligava a metterti assieme a otto comuni limitrofi, con Caltagirone capofila e  con l’Università di Catania unica a prendere i soldi per progetti inesistenti, velleitari e non controllati: ebbene sono finiti. A me potrebbe maggiormente interessare creare un collegamento con Favara, piuttosto che con un paese limitrofo. Se la Regione è mentalmente ferma a 20 anni fa, noi non possiamo permettercelo. Il marketing territoriale si fa in questa maniera:

1) Programma culturale annuo;

2) Collaborazione con altre realtà su contenuti reali d’interesse strategico;

3) Strumenti di comunicazione moderni, efficienti e ben fatti (ad esempio, non il catorcio di sito comunale che abbiamo, ma un vero sito PROMOZIONALE);

4) Razionalizzazione delle offerte turistiche e loro messa in efficienza;

5) Eventi promozionali per i tour operator;

6) Attività promozionale in Italia e all’estero.

7) Advertising ATL, BTL, social e redazionali;

8) Ma anche solo due benedetti cartelli sulla Catania-Gela che dicano: “Visita la città esagonale. Uscita a 5 chilometri”. Ecco: un marketing del genere produrrebbe degli introiti per la città, ma occorre investire. Investire. Dobbiamo investire tutti, non solo il pubblico. Oppure tanto vale lasciare perdere.

Tornando alla quotidianità, ci sono tante piccole iniziative che hanno poco risalto, ma che dovrebbero averne di più. Ad esempio, l’art bonus, che ha anche sollevato qualche speculazione politica. E’ semplice andare a vedere sui vari siti di cosa si parla, ma di preciso come vorreste sfruttarlo per Grammichele?

digeronimo art bonus

L’art bonus è una legge dello Stato, semplice e chiara. Ad esempio, se doni 1000 € per un monumento, una biblioteca, un parco archeologico della tua città, lo Stato ti restituisce 650 €. Se ne doni 10.000 te ne restituisce 6.500. Se poi si è un po’ svegli, si fa come a Comiso: non è un mistero che chi ha donato per il teatro Naselli, non solo ha avuto indietro il 65% dallo Stato, ma ha avuto anche forti sconti dal Teatro al momento della sottoscrizione dell’abbonamento: insomma i donatori sono rientrati del tutto. Ma sai qual è la cosa bella? Che lo Stato te li restituisce in crediti fiscali! Dici: bè male… E invece no: bene! Perché chi ti garantisce che i soldi delle tue tasse restino a Grammichele? Dunque con l’Art Bonus anziché prendere i soldi delle tue tasse e spenderle per pagare lo stipendio a Salvini o rifare le strade a Roma, lo Stato ti consente di tenerle a Grammichele: a casa tua. Scemo chi non ne approfitta. Infatti ne stanno approfittando in molti in Italia. Basti dare un’occhiata al sito ufficiale, anche perché le grandi fondazioni private hanno capito da tempo che l’industria italiana nel XXI secolo sarà quella culturale e turistica. E giustamente la finanziano. E poi la partecipano. Faccio un esempio banale. Se io avessi un’edicola appena fuori il Museo Egizio e vendessi legalmente magliette con l’effige del Museo Egizio, sarei furbo o sarei fesso a donare 1.000 euro al Museo perché le spenda in promozione, sapendo oltretutto che me ne rientrano 650? Sarei un fesso a non farlo. È promozione che faccio a me stesso. Mi spiego? A Grammichele potremmo mettere a posto palazzo Fragapane, la struttura geodetica, manutenere il parco archeologico e promuoverlo. Potremmo persino costruire un cinema o un teatro ex novo. Ma ci serve una classe dirigente, diciamo una borghesia illuminata, che però non sembra interessarsi a queste cose. Forse non ha neanche compreso i tempi che stiamo vivendo.

Ci sono persone a Grammichele che non hanno mai visitato il Museo Civico, dove però sono custoditi pezzi di storia della nostra città. In che modo avete, o vorreste, metterli in risalto?

palazzo fragapane

Semplice. Trasferirlo a palazzo Fragapane, farlo diventare la tappa finale dell’unico persorso intelligente possibile, quello che parte da Occhiolà e finisce a Grammichele con l’esagono, con le Chiese, con San Rocco e promuoverlo. Promuoverlo per davvero. Far lavorare la Comunicazione che non è un hobby, ma un mestiere difficile. Oggi il Museo è triste. Soprattutto poi è davvero impossibile farsi venire l’idea di salire all’ultimo piano del Municipio, dove ci sono i pezzi più belli a parer mio.

Angoli di città vivono nell’abbandono più assoluto, così in alcune zone avete pensato di dare la possibilità a giovani artisti, ragazzi delle scuole, o semplicemente cittadini creativi, di dar sfogo alla loro arte creando dei murales. Come sta andando l’iniziativa?

Male. A parte un paio di ragazzi che hanno raccolto il senso dell’iniziativa, per il resto s’è bloccato tutto. Eppure la street art è anche uno sbocco lavorativo, le città ne sono piene e i privati pagano bene per riempire di bellezza certi palazzi osceni. Eppure il più noto street artist del mondo è un italiano: il suo nome d’arte è Blu. Eppure abbiamo un liceo artistico. Eppure abbiamo una preside disponibile e docenti assai in gamba. Ma regna un’apatia quasi granitica fra i ragazzi. A proposito di degrado poi vorrei dire: non è degradata solo la periferia. In realtà noi abbiamo una delle piazze più belle di Sicilia, ma la piazza resterà sempre bloccata finché non avremo risolto il problema dell’ex Teatro Intelisano. Ma che senso ha? Una banca che se ne serve di un angoletto, la platea sventrata, la facciata cadente. Ma basta. Servirebbe un comitato cittadino per tentare di riappropriarcene in quanto luogo della Comunità, trovando una forma che accontenti tutti, proprietà e città: almeno questo devo dire da uomo delle istituzioni. Ma se avessi 20 anni e non fossi uomo delle istituzioni, allora risponderei diversamente: e direi che quel palazzo prima di essere proprietà privata era (e dovrebbe essere) un servizio per la città. E siccome a 20 anni occupavo gli edifici abbandonati per farne luoghi sociali, allora forse lo avrei occupato. Ma non lo posso dire. Anzi devo dire che no no, non si fa. Certo, se fosse possibile teletrasportarlo in aperta campagna, lo farei. Direi: bene visto che non vi importa niente, tenetelo qui in aperta campagna e noi facciamo altro con quello spazio in piazza che voi proprietari degradate da 50 anni. Basta. Grammichele si liberi di quest’angolo buio e cadente che determina ogni sviluppo della sua bellissima piazza. Se ne faccia una questione politica. Ma davvero interessa risolvere il problema? A me pare che ognuno fa finta di riaprirlo, ma poi…Ma può una città restare ostaggio per 50 anni di un bellissimo palazzo abbandonato? È in fondo la metafora più forte di tutta Grammichele. Se non riusciamo a sbloccare un fottuto palazzo da 50 anni, ma perché dovrebbe sbloccarsi un ragazzo del Liceo? Muoviamo quel palazzo e tutto si muoverà.

Vuoi dire qualcosa sulle polemiche degli ultimi giorni, gli insulti su facebook, i toni alti, etc?

No. A Grammichele sono stato ricoperto di insulti gratuiti. Facinoroso, guru, Socrate (bello però l’hanno ucciso…), caruseddu, “bravo ragazzo“, “incompetente perchè a titolo gratuito“, serpente, fascista, comunista. L’unico che non ho perdonato è “laziale“. Per il resto chi se ne frega. Faccio politica da quando avevo 15 anni, a scuola. Queste cose sono piuttosto normali. Se qualcuno si offende, lasci perdere. Si occupi d’altro. Se dovessi convocare il Consiglio o fare una denuncia ogni volta che qualcuno mi offende, capirai, starei fresco. Per me parla il mio curriculum. Per tutti parla il curriculum.

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