Dalla rubrica #Recensiamo: “Aspettando Godot” di Samuel Beckett a cura di S. Cannizzo

aspettando Godot.

Capolavoro letterario del xx secolo, “aspettando Godot” è la celebre opera teatrale  del grande drammaturgo irlandese Samuel Beckett.  In essa l’autore sviluppa  il dramma umano attraverso il ricorso al teatro dell’assurdo, termine col quale si caratterizza il dialogo senza senso e ripetitivo, capace solo di suscitare a volte il sorriso nonostante il senso tragico del dramma che stanno vivendo i personaggi,  i quali rimangono fermi mentre si dicono “Well? Shall we go?” (E ora? Possiamo andare?) – “Yes, let’s go” (Sì, andiamo), e l’indicazione scenica dice ironicamente “They do not move” (Non si muovono). La politica italiana, in attesa di Godot, personaggio che mai entra in scena, si presenta  oggi nella sua più tragica inconcludente realtà, espressione di un confuso dibattito surreale che certifica una debole visione del fare: aspetta, guarda, rinvia le decisioni, si divide, urla, incapace di imporre un’agenda  che riporti al centro della scena il futuro del nostro Paese.  Semplicemente non si muove. Continuamente assistiamo alla consumazione di  drammi umani, sociali, ambientali. Il caso (ex) Ilva di Taranto appare senza una soluzione, poiché la politica non è in grado di trovare rimedio e l’opinione pubblica si affanna a cercare colpevoli, laddove gli unici innocenti sono i lavoratori e le loro famiglie costretti a un’unica scelta: morire di fame o morire di cancro.  Venezia  umida e triste nelle drammatiche immagini di Piazza San Marco, allagata a causa dellondata di forte maltempo.  Questa volta non bastano le considerazioni sulla crisi climatica in atto sul pianeta per commentare il disastro ambientale e sociale che ha colpito la città lagunare, tantomeno i filmati che mostrano le strade di Matera, Capitale Europea della Cultura 2019, invasa da fiumi di acqua. Bisogna di nuovo ricordare, purtroppo, che viviamo nel sistema-paese delle tragedie annunciate e dell’affarismo politico (il Mose, per rimanere sul tema), che spesso trasforma la costruzione e l’organizzazione delle strutture territoriali e perfino le calamità naturali in un’occasione per realizzare profitti privati, socializzando le perdite materiali e quelle relative alle attività umane a danno dell’intera comunità, in un territorio dove il 90% dei Comuni è a rischio idrogeologico. Più a sud del sud, in Sicilia non siano da meno: il tasso di disoccupazione (giovanile e non) è sempre in aumento; le violenze e soprusi in danno all’ambiente non fanno notizie: sono sufficienti un paio d’ore di pioggia affinchè il territorio trasformi il suo evidente e doloroso patimento in un problema emergenziale. Od ancora la mancata partenza del treno Catania-Roma nella serata del 12 novembre per problemi lungo la strada ferrata che attraversa il territorio del messinese, le cui cause si ascrivono all’abbondante pioggia. Di contro la politica è lì: aspetta, guarda, rinvia le decisioni, si divide, urla. Quella nazionale e quella siciliana semplicemente non si muovono (“They do not move”). E’ la medesima vicenda  che Beckett ha immaginato per i personaggi (Vladimir ed Estragon) che caratterizzano la sua opera teatrale, quel teatro dell’assurdo che mette in scena  crisi, angoscia, solitudine,  situazioni e dialoghi surreali, squarci di quotidianità scomposti e rimontati in modo da creare un effetto comico e tragico al tempo stesso. Il rapporto con la gente comune e il dialogo sociale sono ridotti al minimo. Aspettando Godot entra in scena il pescato umano, le sardine, …“”quel senso comune, quella coscienza collettiva ben radicata che non si identifica in un partito ma esercita sistematicamente e quotidianamente quei valori progressisti legati all’idea di giustizia sociale contenuti nella nostra Costituzione». Il movimento della sardine istantaneamente si diffonde grazie al web, e si presenta  spontaneo e giovanile  come il metaforico silenzio dei pesci per contrapporsi agli urlatori della politica, maestri nel fuggire, o rinviare o eludere  le decisioni o alla ricerca di un consenso assoluto che legittimi l’aspirazione del Capo:  Comando io. Gli Altri? Noia.

Salvatore Cannizzo.

 

,

Rispondi